Quaranta lettere raccontano l’amicizia fra Contini e Angelini
Quaranta lettere scritte nell’arco di una trentina d’anni raccontano la storia un’amicizia – “una consolante somiglianza d’anima” – tra il critico letterario Gianfranco Contini e il sacerdote letterato monsignor Cesare Angelini, storico rettore del collegio Borromeo di Pavia.
Ritrovate nell’archivio privato Angelini e catalogate accuratamente dal pronipote del sacerdote, Fabio Maggi, poi consegnate allo studioso Gianni Mussini, le lettere sono ora pubblicate in un volumetto curato da quest’ultimo dal titolo “Critica e carità. Lettere 1934 -1965” (Interlinea) che è stato presentato al collegio Borromeo giovedì 15 aprile.
“Caro don Angelini […] Lei ha il Tractato dei Mesi di Bonvesin, civile opuscolo della Scelta Romagnoli; era, un anno fa o così, disposto a prestarmelo; mi sarebbe indispensabile ora, per qualche mese, e gliene domando l’usufrutto. Vuole? Può? Io non perdo nulla; non oblìo nulla; e ho rispetto dei libri come di carne umana» scrive il giovane Contini, che s’è laureato in Lettere a Pavia, al generoso sacerdote che stima come intellettuale finissimo ed erudito e che ha invano cercato di incontrare. E’ il 25 giugno 1934. La richiesta del Tractato di Bonvesin, oltre a segnalare la predilezione di Contini per lo scrittore milanese medievale, al quale ha appena dedicato la tesi e che d’ora in poi sarà oggetto dei suoi studi, dà vita a una lunga relazione epistolare tra i due. Una relazione che, osserva Gianni Mussini, inizia con l’atteggiamento di un discepolo che cerca incoraggiamenti e consigli, e termina con due note inaspettate di entrambi in due lettere che s’incrociarono, scritte nel medesimo giorno, 27 maggio 1960, e in cui il sacerdote ripete allo studioso quanto gli espresse in un incontro il giorno precedente a Pavia, «il senso di un’amicizia ritrovata, e – perché no? – d’una consolante somiglianza d’anima»; mentre lo studioso, come ricapitolando tutto un percorso, anzi un’ascesa: «Ero giovinetto acerbo e inesperto quando mi era dato di frequentarLa, non del tutto incapace di stazzare una “partita” di poesia […] ma inespertissimo del cuore umano. [E ora presumo] che sia parecchio diminuita […] questa mia rara inettitudine”